Avevo 13 anni. Era primavera, il periodo arido di marzo in cui non puoi essere sicuro se sia davvero più caldo, ma sei così disperato per il cambiamento che dici a te stesso che il fango al limite del marciapiede è diverso dal fango invernale e sei sicuro che l'odore della terra bagnata ha improvvisamente un po' il profumo delle piogge estive, dell'erba e dei lombrichi annegati. E così è, perché è primavera e dentro la terra qualcosa si muove. Indossavo un vestito di lino giallo che aveva scelto mia madre e che quindi non mi piaceva, anche se sapevo che mi lusingava. Le mie scarpe erano bianche e mi stavo concentrando per tenerle lontane dal fango. Mio padre ed io andavamo a messa, mia madre non ci è andata; era protestante. Mio padre mi mise una mano sui capelli, il palmo della mano sulla mia testa, e potevo sentire le ossa del mio cranio, la mia pelle e il suo palmo caldo, così secco e forte. Quando ero piccola, lo faceva spesso e mi chiamava "Muscoli". Era da molto tempo che non mi chiamava Muscoli né mi metteva una mano sulla testa. Non ho potuto fare a meno di inarcare un po' la schiena, avrei voluto spingere contro la sua mano come un gatto ma l'istinto che viene dall'avere 13 anni, la cautela incompresa che rende una ragazza timida, o selvaggia, la timidezza mi ha detto di camminare e basta . Avrei voluto sentire il bordo ruvido della tasca del suo cappotto contro la mia guancia, ma ero troppo alta. Volevo avere di nuovo sette anni ed essere al sicuro. Ma volevo ancora premere contro la sua mano e infilargli la mano in tasca e rubargli il guanto con il palmo di cuoio, quell'animale segreto. Invece sono andato in chiesa, ho preso un Bollettino, ho intinto il dito nell'Acqua Santa e mi sono genufletto. L'interno della chiesa odorava di legno umido e lucido per mobili, per nulla vivo. Mio padre si tolse il cappotto e lo drappeggiò sul bordo del... centro della carta... bastone gettato sotto le gradinate. Fuori era umido e odorava di primavera. Mio padre mi lasciò andare e si sistemò il cappotto sulle spalle e io mi sentii in imbarazzo. Uscii, facendo attenzione alle mie scarpe bianche; le macchine erano tutte scomparse dal parcheggio e il cartello davanti alla scuola diceva: "Vacanze di Pasqua; 4 - 11 aprile, guidare con attenzione". Tra i cespugli sedeva un passerotto bagnato. Tornai a guardare mio padre, ancora nell'oscurità della porta. Il suo viso era strano, vuoto. I suoi occhi erano dorati e dove dovevano esserci le pupille si riflettevano rossi, come un gatto nel buio, ma quando uscì sembrava se stesso. Volevo essere a casa a mangiare marmellata di pesche su pane tostato, quindi me ne sono dimenticato. A casa mia madre aspettava. Quando chiese a mio padre cosa fosse successo al suo guanto, lui non lo sapeva e io non lo dissi.
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